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Per una mediazione assistita 3.0

La riforma del processo civile che porta il nome di Marta Cartabia, ministro della Giustizia sotto il Governo Draghi, ratificata con il decreto attuativo del 28 luglio 2022 e in vigore a partire dal 1° giugno 2023, non è un mero strumento per decongestionare le aule tribunali, snellire la burocrazia e ottenere sentenze in tempi più rapidi. O meglio, è tutto questo grazie soprattutto al ricorso incentivato e sempre più frequente all’istituto della negoziazione assistita, corroborato tra l’altro dall’estensione del gratuito patrocinio, a spese dello Stato, su istanza da presentare al Consiglio dell’ordine degli avvocati della sede di competenza.

Tra le novità procedurali che permettono un vero salto di qualità e non un semplice make up della negoziazione, c’è la possibilità, con un accordo tra le parti, di svolgere la procedura in modalità telematica, cioè mediante un collegamento da remoto, nonché quella di utilizzare un modello di convenzione standard, preparato ad hoc dal Comitato nazionale forense (CNF).

Ma la novità più sostanziosa è probabilmente quella dell’ingresso nella negoziazione della cosiddetta “istruzione stragiudiziale”, che consente cioè di acquisire dichiarazioni rese da soggetti terzi alla presenza dell’avvocato, ritenute rilevanti ai fini della controversia e sanzionabili in caso di falsa testimonianza. Proprio come nel “normale” processo civile.

Da notare che il nuovo statuto della negoziazione assistita prevede, nel caso della risoluzione consensuale di separazioni, divorzi, affidamento e mantenimento dei figli (compresi quelli nati al di fuori del matrimonio), la possibilità di procedere direttamente, con effetti obbligatori, al trasferimento all’uno o all’altro coniuge di beni immobiliari, spesso determinanti per garantire i nuovi equilibri che si vengono a determinare all’interno della famiglia non più unita sotto lo stesso tetto.

Se queste sono le premesse, tutte qualificanti, dobbiamo però rivolgere la nostra attenzione a quello che dal nostro punto di vista è forse il dato il più interessante dell’evoluzione di questo istituto del nostro ordinamento, a otto anni dalla sua prima introduzione nel 2014. Si tratta della possibilità di poter esperire, all’interno della negoziazione assistita, anche la mediazione familiare, oggetto principale di questo volume, con tutto ciò che comporta per il suo contenuto sociale, per il suo valore preventivo di deflazione del contenzioso e, in ultima analisi, per l’opportunità che offre agli ex partner di guardarsi negli occhi (al limite tramite un videocollegamento), esprimere e gestire al meglio le proprie emozioni e riuscire a negoziare in tempi brevi, con maggiore riservatezza e minore stress, un accordo di reciproca soddisfazione, in linea anche con i diritti-doveri della co-genitorialità. Lasciando ai rispettivi avvocati (non necessariamente formati alla pratica collaborativa) l’onere di concentrarsi sugli aspetti giuridici ed economici della separazione o del divorzio.

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Nella mediazione familiare, infatti, le parti, assistite dalla figura del mediatore, sono protagoniste assolute del procedimento cui scelgono consapevolmente di aderire, spesso su suggerimento di un legale. Tale privilegio si trasferisce in un certo senso alla negoziazione assistita che come è noto è uno, se non il principale metodo di ADR (Alternative Dispute Resolution, ovvero Risoluzione alternativa delle controversie), in cui gli avvocati sono investiti della responsabilità di raggiungere un accordo realmente “giusto” e condiviso fra i coniugi, che superi cioè la logica della pura contrapposizione fra interessi divergenti, accogliendo e metabolizzando tutti quegli aspetti relazionali che possono rendere più efficace e duratura la composizione del conflitto.

Si è accennato al fatto che gli avvocati “matrimonialisti”, esperti di diritto familiare, non siano necessariamente idonei, per attitudine personale e formazione, a svolgere anche il ruolo del mediatore familiare, figura che non proviene necessariamente dall’avvocatura (che costituisce comunque titolo di merito), ma che può essere per formazione uno psicologo o un counselor. Il suo specifico intervento di facilitatore “super parters” può svolgersi tutto nell’ambito della negoziazione, che ha una durata massima di 90 giorni, prorogabili di altri 30. E alle varie sedute, oltre ai coniugi, possono essere invitati ad assistere i rispettivi avvocati, chiamati in questo caso a tradurre in tempo reale i frutti della mediazione in accordi giuridicamente validi. La chiave di volta è in ogni caso la sinergia che deve scattare fra tutte le figure coinvolte: l’obiettivo ultimo è di pervenire a una soluzione il più possibile globale, efficace, consapevole e a prova di futuro, nell’interesse supremo dei componenti della coppia e, se presenti, dei figli minori, nel pieno rispetto del principio della bigenitorialità stabilito dalla legge 8 febbraio 2006, n. 54.

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